Proseguiamo il nostro viaggio “virtuale” in Europa con l’intervista concessa dall’arcivescovo Paolo Pezzi, che dal 2007 è arcivescovo metropolita della Gran Madre di Dio a Mosca. Nelle sue risposte, l’arcivescovo Pezzi tratteggia una cristianità che nel futuro vivrà sempre più in piccoli gruppi, come “fiammelle che brillino nella notte del mondo”
Il tema dell’evangelizzazione è sempre stato centrale negli incontri dei vescovi europei, sin dagli inizi. Oggi, l’Europa ha bisogno di essere ri-evangelizzata, o ha bisogno di rafforzare la fede?
L’Europa necessita di essere rievangelizzata, occorre far ripartire un nuovo processo missionario che si è pressoché inaridito.
Quali sono le difficoltà maggiori che incontra la sua comunità ecclesiale nel suo Paese? In che modo si sta lavorando per superare queste difficoltà?
Educare a una fede che riguardi la vita e non ne sia staccata. Intraprendiamo da anni un processo di evangelizzazione e catechizzazione che si rivolga all’uomo integrale.
Dopo cinquanta anni di CCEE, abbiamo una Europa che respira con due polmoni, quello orientale e quello occidentale. Quali sono le sfide del dialogo tra Oriente e Occidente? Cosa hanno dato le Chiese dell’Est Europa a quelle dell’Ovest e viceversa?
La sfida maggiore è quella della fede che si fa carità attiva ed effettiva attraverso opere di carità, di accompagnamento, e di presenza nella società civile. Occorre poi intensificare eventi di comunione in cammino come ad esempio il Forum Cattolico-Ortodosso delle Chiese presenti in Europa. Le chiese dell’Est hanno portato la sete per la fede, la sete di Dio. Quelle dell’Ovest il bisogno di superare l’individuazione e riscoprire la dimensione comunitaria della fede.
Si parla spesso di una persecuzione sottile dei cristiani in Europa, ci sono molti rapporti che la mettono in luce – penso a quelli dell’Osservatorio sulle Discriminazione e le Intolleranze contro i Cristiani in Europa. Nel suo Paese, quanto si sente forte questa persecuzione? Quali sono i maggiori problemi da affrontare?
Non c’è una reale persecuzione dei cristiani, ma si notano discriminazioni e intolleranze dovute a ignoranza (si considerano i cattolici come una setta) o a malizia a livello locale per interessi particolari. A mio parere occorre educare a una fede pertinente alla vita e certa e responsabile, capace di una testimonianza attraverso il dono di sé.
In che modo il dialogo ecumenico può contribuire (o ha contribuito) a formare una identità europea?
Personalmente penso che non si arriva a respirare a due polmoni fino a quando il dialogo ecumenico non diventa qualcosa di stabile e continuativo nel tempo, così da permettere un reale cammino verso la riscoperta di una identità europea. L’identità presuppone infatti un continuo rinnovamento e il dialogo ecumenico potrebbe dare un forte impulso a questo.
Quali sono oggi le priorità di evangelizzazione in Europa? E quali sono le priorità dell’evangelizzazione nel suo Paese?
L’educazione alla fede pertinente alla vita, il gusto e il senso della testimonianza nella società civile. È in corso da noi un processo di rievangelizzazione delle persone che non hanno mai avuto una catechizzazione adeguata dopo il Battesimo, e inoltre un rilancio della pastorale giovanile e familiare.
Nella Ecclesia In Europa di Giovanni Paolo II, trovo centrale l’interrogativo del Vangelo di Luca: “Il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Cosa rispondete a questo interrogativo?
Sì. Ma nel prossimo futuro in piccoli gruppi, che come fiammelle brillino nella notte del mondo.
La pandemia ha mostrato, purtroppo, una tendenza a marginalizzare la fede, considerata meno essenziale di altri beni, Per mesi, le comunità sono state private della possibilità della Messa con il popolo. Come si può superare questa tendenza?
Noi abbiamo riscontrato una progressiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche attraverso i mezzi di comunicazione sociale, e anche a una accresciuta passione per la preghiera in famiglia, o in casa. Alcune case sono anche diventate centri di attrazione per altre persone sole o famiglie. Ora occorre aiutare i fedeli a vincere la paura, e tornare a partecipare alle celebrazioni in presenza, perché la dimensione comunitaria è essenziale alla fede e alla persona.
La marginalizzazione della fede nei dibattiti pubblici avviene anche su temi fondamentali, come i temi della vita. Quali sono le sfide che deve affrontare nella sua nazione? E come sono cambiate queste sfide nel corso degli anni?
Nel corso degli anni si è indebolito il senso della vita stessa: le condizioni di lavoro, l’istruzione e la sanità, soprattutto in condizioni di pandemia, sono gli ambiti in cui è necessario sviluppare una cultura della vita e una difesa della vita. Faccio un esempio: la legislazione riguardo all’aborto ha subito un progressivo miglioramento, ma sono aumentati casi di aborto. Penso che ogni legge debba essere anticipata da un processo di educazione: nel caso concreto senza educare il popolo alla vita e alla difesa della vita, anche la legge più restrittiva non fermerà il dilagare degli aborti.
In un recente dibattito sull’Osservatore Romano, è stato notato come la secolarizzazione abbia prodotto una società non cristiana. Ma alcuni osservatori notano che il problema non è nelle Chiese vuote di oggi, bensì nelle Chiese piene degli anni Settanta, nel periodo della fede militante che però ha mancato di una costruzione solida. Quale è la sua analisi del problema?
Penso che la domanda stessa riveli quale distanza ci sia ancora in Europa tra Est e Ovest. Personalmente penso che la secolarizzazione, in particolare in alcuni Paesi dell’Europa dell’Ovest, sia innanzitutto una condizione, un ‘ambiente’ come ad esempio Internet o una cultura di popolo, o di gruppo, o di nazione, più che un progetto pianificato. In questi Paesi già negli anni ‘50 si svuotavano i cuori e le chiese si riempivano di presenze formali segnate non tanto da una fede militante, quanto da una fede borghese. Ritengo che la ‘Lettera a cristiani di Occidente’ del grande teologo čeco Josef Zvěřína degli inizi anni ’70, sia un’analisi lucida ancora attuale: “Fratelli, voi avete la presunzione di portare utilità al Regno di Dio assumendo quanto più possibile il saeculum, la sua vita, le sue parole, i suoi slogans, il suo modo di pensare. Ma riflettete, vi prego, cosa significa accettare questa parola. Forse significa che vi siete lentamente perduti in essa? Purtroppo sembra che facciate proprio così. È ormai difficile che vi ritroviamo e vi distinguiamo in questo vostro strano mondo. Probabilmente vi riconosciamo ancora perché in questo processo andate per le lunghe, per il fatto che vi assimilate al mondo, adagio o in fretta, ma sempre in ritardo. Vi ringraziamo di molto, anzi quasi di tutto, ma in qualcosa dobbiamo differenziarci da voi. Abbiamo molti motivi per ammirarvi, per questo possiamo e dobbiamo indirizzarvi questo ammonimento. ‘E non vogliate conformarvi a questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, affinché possiate distinguere qual è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli è gradito, ciò che è perfetto’ (Rm 12,2). Non conformatevi! Mè syschematízesthe! Come è ben mostrata in questa parola la radice verbale e perenne: schema. Per dirla in breve, è vacuo ogni schema, ogni modello esteriore. Dobbiamo volere di più, l’apostolo ci impone: “cambiare il proprio modo di pensare in una forma nuova!” − metamorfoûsthe tê anakainósei toû noós. Come è espressiva e plastica la lingua greca di Paolo! Di contro a schêma o morphé − forma permanente − sta metamorphé − cambiamento della creatura. Non si cambia secondo un qualsiasi modello che è comunque sempre fuori moda, ma è una piena novità con tutta la sua ricchezza (anakainósei). Non cambia il vocabolario ma il significato (noûs). Quindi non contestazione, desacralizzazione, secolarizzazione, perché questo è sempre poco di fronte alla anakaínosis cristiana. Riflettete su queste parole e vi abbandonerà la vostra ingenua ammirazione per la rivoluzione, il maoismo, la violenza (di cui comunque non siete capaci). Il vostro entusiasmo critico e profetico ha già dato buoni frutti e noi, in questo, non vi possiamo indiscriminatamente condannare. Solo ci accorgiamo, e ve lo diciamo sinceramente, che teniamo in maggior stima il calmo e discriminante interrogativo di Paolo: “Esaminate voi stessi per vedere se siete nella fede, fate la prova di voi medesimi. O non conoscete forse neppure che è in voi Gesù Cristo?” (2 Cor 13,5). Non possiamo imitare il mondo proprio perché dobbiamo giudicarlo, non con orgoglio e superiorità, ma con amore, così come il Padre ha amato il mondo (Gv 3,16) e per questo su di esso ha pronunciato il suo giudizio. Non phroneîn − pensare −, e in conclusione hyperphroneîn − arzigogolare −, ma sophroneîn − pensare con saggezza (Cfr. Rm 12,3). Essere saggi così che possiamo discernere quali sono i segni della volontà e del tempo di Dio. Non ciò che è parola d’ordine del momento, ma ciò che è buono, onesto, perfetto. Scriviamo come gente non saggia a voi saggi, come deboli a voi forti, come miseri a voi ancor più miseri! E questo è stolto perché certamente fra di voi vi sono uomini e donne eccellenti. Ma proprio perché vi è qualcuno occorre scrivere stoltamente, come ha insegnato l’apostolo Paolo quando ha ripreso le parole di Cristo, che il Padre ha nascosto la saggezza a coloro che molto sanno di questo (Lc 10,21)”.